Persone di cui si potrebbe dire “non meritano citazione”. Eppure, al contempo, persone di grande spessore umano, senza grandi pretese ma molto note. Personaggi caratteristici dileggiati o amati, di certo ricordati dai nostri vecchi e quindi, credo doverosamente, anche qui.
Giuseppe Emiliano Maurizi (Lu Lozzu)
Calzolaio di Piazza, si diverte a fare scherzi a chiunque, conoscenti e passanti. Atti di socialità e spensieratezza oggi impensabili, stretti come siamo tra il “politicamente corretto”, la “privacy” e la suscettibilità litigiosa di chi conosce solo i propri diritti ma non i doveri. Visse ad inizio ottocento.
Luigi Mancini (Frate Pietro)
Frate cercatore del convento dei cappuccini (vedi), aveva il compito di scendere in città ad elemosinare cibo per i fratelli. In questo difficile compito di questuante trovava però sempre il tempo per fare visita ai bisognosi ed ai malati in ospedale, e forniva, comunque, fiducia e speranza a chiunque donando il suo bonario sorriso. Nato nel 1917 ad Avigliano Umbro, divenne frate a soli 21 anni. Esercitava il suo mestiere di cercatore prima con l’asino e poi con un’Ape blu. Compensava le elemosine con una santino, una caramella e, soprattutto, sopportando gli scherzi bonari di cui era vittima, tanto si sapeva che li accettava. E offrendo l’immancabile “merenda” o, a Pasqua, “colazione” a chi gli faceva visita al Convento. E’ scomparso nel 1999.
Giuseppe Codini (Pinotto)
Lavorava al convitto INPS, viveva a Spoleto alta che era il suo habitat. Attore, cantante, caratterista, imitatore, sempre allegro ed istrionico, pronto alla battura, persino allo schetch, ad ogni incontro. Grande protagonista della Rivista Goliardica e di altre rappresentazioni amatoriali, era anche, a teatro, una “primadonna” che pretendeva ruoli importanti e protagonismo in scena, conscio delle proprie possibilità artistiche. Arrivò anche al grande schermo, come portiere del Teatro in “Io e mia sorella”, di Verdone, girato a Spoleto.
Tommaso Nardone
A volte beveva un po’ troppo e, col suo vocione, improvvisava comizi in piazza che radunavano ragazzi e impaurivano le mamme coi bimbi. E’ stato più volte in galera. Famosi i suoi bagni nelle fontane cittadine, specie a Piazza del Mercato, anche in pieno inverno. Ma non ha mai fatto male a nessuno e tutti gli volevano bene. E donava il sangue, all’AVIS.
Tommaso Nardone era di poverissima famiglia di Lanciano, in Abruzzo. Per trovare sostentamento i Nardone si trasferirono a Spoleto, prima a Sensati poi a Meggiana, negli anni della guerra. Ma aveva allergia al fieno, così dovette smettere di lavorare in campagna e, ancor giovane, tentò la fortuna a Roma. Lavorò, per qualche mese, come facchino in grandi alberghi e ristoranti della capitale ma veniva pagato poco o nulla. Così tornò a Spoleto e trovò da portare le bombole del gas. Poi veniva, saltuariamente, impiegato dal Comune per lavori di giardinaggio e pulizia. Notato da Piero Chiambretti arrivò addirittura in televisione, su RAI 3, nel programma “Prove tecniche di trasmissione”. Finì alla casa di riposo, dopo un gravissimo incidente nei pressi di Spello, che lo ridusse in coma per sei mesi. Morì nel 2006.
Eugenio Testa “Bevagna”
Originario di Bevagna, da qui il nomignolo, venne a Spoleto con la famiglia nel 1890. Figlio di calzolaio si innamorò di Leopoldina Sansi, nobile, conosciuta a bottega. E lei di lui. Riuscì ad incontrarla ai giardini pubblici ma se ne accorse la governante e dunque Leopoldina fu sempre più strettamente sorvegliata nelle uscite al parco. Ma riuscì ad accordarsi con Eugenio per vedersi nel parco della sua villa. Purtroppo quando nottetempo lei si calò dalla finestra, e incontrò il suo amato che aveva scalcato il muro, era inverno e pioveva. Quando Leopoldina tentò di rientrare in camera non ci riuscì, perché qualcuno aveva chiuso la finestra. Trascorrendo la notta nel parco contrasse una forte febbre e morì dopo pochi giorni, ancora bambina, sedicenne.
Eugenio che, disperato, attendeva fuori della casa, alla ferale notizia giurò di non usare più abiti diversi che quelli che indossava (camicia bianca e pantaloni neri) e di non tagliarsi mai più barba e capelli (e, ovviamente, di non legarsi ad altra donna per tutta la vita).
Divenne amico intimo di Beniamino Gigli (vedi “inclite visite”), con il quale aveva in comune il fatto di discendere da un padre calzolaio. Per questo fece anche una comparsa nel film “i pagliacci” del 1943, con Gigli e Alida Valli. IL suo volto è divenute emblema del “Carnevale spoletino”. Morì nel 1944 dopo aver rifiutato più volta l’eredità die Leopoldina che il Barone Sansi gli offriva.