Teatro Caio Melisso (spazio Carla Fendi)

  • Teatro Caio Melisso (spazio Carla Fendi)

    • Teatro Caio Melisso (spazio Carla Fendi) 05/01/2023
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Il Teatro in Piazza Duomo è intitolato, dal 1880, ad un letterato nato a Spoleto ma abbandonato dai genitori.

Al trovatello fu imposto, come si usava per i servi, un nome greco (Melisso) accanto al nome latino (Caio). Fu educato nelle lettere dai suoi genitori adottivi e, siccome era molto bravo, venne portato a Roma da Mecenate come schiavo liberto. Fu poeta, bibliotecario di Augusto e commediografo comico. In questa ultima veste inventò il genero comico che chiamo “trabeate”, terzo genere comico dopo  le “palliata” di soggetto greco, e la “togata”, genere romano. Tali genere prendevano il nome dalle vesti indossate dagli attori, e nelle “trabeate”, di soggetto romano, si indossava la trabea (corto mantello con bordi di porpora). Questa veste era per lo più usata da cònsoli, trionfatori e cavalieri, per cui si suppone che le “trabeate” fossero commedie satiriche verso i potenti. Tale supposizione è confortata dal fatto che le “trabeate” si contrapponevano alle “tabernarie”, ove si narravano storie di taverna, di gente semplice. Avendo vissuto in casa di Mecenate, invece, Caio Melisso meglio conosceva le classi agiate.

Il Teatro fu costruito nel 1667, sopra una preesistente torre, come si può ben vedere da Piazza della Signoria. La parte che ora costituisce il teatro era stata elevata nel XV secolo per farne la “casa per l’amministrazione dell’Opera del Duomo”. Il Foyer, che congiunge la “ex Casa”, ora teatro, con la Manna d’Oro (vedi) è stato l’ultimo corpo di fabbrica costruito, al fine di consentire un più agevole accesso al Teatro.

Il Caio Melisso fu uno dei primi teatri pubblici in Italia, dopo il San Giovanni Crisostomo di Venezia (1660) e prima del Tor di Nona di Roma (1660). Per più di due secoli si chiamò “Teatro Nobile”.

Fu ampliato e ristrutturato nel 1749 e, caduto in disuso per la costruzione del Teatro Nuovo,  ancora nel 1877/1780 su progetto dell’architetto spoletino Giovanni Montiroli. L’ingresso e la biglietteria sono nell’ex oratorio della Manna d’Oro (vedi).

Quando venne a Spoleto il Maestro Menotti per iniziare a progettare il Festival,  Adriano Belli gli mostrò un teatro in stato di abbandono, se ne intraprese un nuovo restauro sotto la direzione del’architetto Roberto De Luca.

Nel 2013, a spese della Fendi S.p.a., che così ha potuto aggiungere il nome a quello storico.

Con platea e tre ordini di palchi e loggione è capace di 350 posti.

I camerini sono nel seminterrato sotto e dietro al palcoscenico.

Pregevoli le decorazioni e soprattutto il sipario.

Dal Foier è possibile godere un meraviglioso panorama della Valle di Spoleto.

Un dettaglio poco noto: gli arredi lignei della biglietteria sono stati ricavati riadattando gli arredi sacri di San Giovanni  allorchè quella chiesa, come molte altre a Spoleto, fu riadattata a caserma. Il nuovo stato italiano unito tolse a Spoleto la sua millenaria prerogativa di capitale dell’Umbria e la compensò con la sede del Distretto militare e di molte caserme. Queste trovarono posto, non senza polemiche e tentativi di difesa, negli edifici religiosi. Ne vennero distrutte molte strutture, gli arredi, come detto, ed anche affreschi e pitture.

 

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